Accogliere: un esercizio di immaginazione

Su ali d'aquila

Domenica 09 ottobre 2022 - VI dopo il Martirio (C)


Che cosa vuol dire “ACCOGLIERE”? La domanda che la Parola ci pone in questa domenica entra in sinergia con le altre domande e riflessioni che la Parola ci ha posto in queste ultime domeniche. L’importanza di custodire una comunione fondata sull’Amore che è Cristo, amare tutti togliendo il velo del male che ci porta a giudicare, porta oggi il nostro cammino di discepoli a imparare a vivere l’accoglienza.

E la prima accoglienza è verso la nostra vita. Quanti aspetti della nostra vita non accettiamo? Quanti aspetti della nostra vita giudichiamo? Ecco già quelli aspetti sono un campo fecondo, un campo dove possiamo accogliere Cristo, dove accogliere colui che viene per far nuove tutte le cose. La novità di Gesù e del suo agire è scoprire come è in questi aspetti della vita che agisce l’amore del Padre, la sua misericordia, non con un atto di repressione, ma con quella capacità di accompagnare perchè nell’accoglierci ci sentiamo amati. Accogliere è quindi vivere nel respiro di Dio e assaporare la bontà della promessa che è iscritta nella mia vita, proprio dietro a quel male o a quell’aspetto che non accetto.

E da questo esercizio di accoglienza verso di noi, che possiamo vivere l’accoglienza degli altri. La lettera agli Ebrei ci invita a compiere un esercizio di immaginazione. Esercizio che ci invita ad immedesimarci nelle figure che indica e provare a sentire dentro di noi come ci sentiremmo se fossimo un carcerato visitato, se fossimo una coppia che subisce un male o una separazione, come se fossimo. La lettera è un invito chiaro a saper aprire gli occhi rispetto a quell’agire impulsivo che molte volte abbiamo, guidato solamente dalle nostre idee. E invece è nella cura dell’immaginazione che la nostra carità e il nostro agire missionario possono trovare veri frutti evangelici. Come si sentirebbe l’altro se io gli dicessi quell’aspetto con quel tono?: questa è la domanda che ci dobbiamo porre, la domanda che rimette in discussione sempre la mia vita, sapendo che essa deve testimoniare Colui che è principio e compimento, Colui che è ieri, oggi, sempre: Cristo! E’ quindi una domanda da porci davanti a Lui, perchè in Lui il nostro agire trovi veramente la direzione dello Spirito.

L’accoglienza vissuta così diventa una testimonianza di vita, capace addirittura di donarsi totalmente. Lo vediamo nella vedova di Sarepta: per rispettare il principio dell’accoglienza verso il profeta, la vedova è disposta a donare tutto, anche il cibo per la sua piccola, perchè la vita del prossimo non vada perduta. In un tempo dove rischiamo di chiudere i nostri sguardi verso l’altro, questa Parola del Primo libro dei Re ci esorta a saper sempre aprire lo sguardo e il cuore, a saper compiere sempre azioni capaci di andare oltre i nostri recinti e confini, capaci di andare oltre i meri calcoli che continuamente facciamo su di noi. La creatività della carità si gioca su questa immaginazione che guarda al desiderio di donare sempre amore, di donare un amore che non conosce confini: l’amore di Cristo, l’amore del Padre per noi.

La nostra missionarietà deriva da questa capacità di sguardo, di prospettiva, da questa capacità di accogliere con un cuore saldo nell’amare tutti, capace di andare oltre ai banali calcoli del male, capace di una vera comunione ecclesiale, che non rifiuta nessuno. Invochiamo quindi il dono dello Spirito perchè sostenga la nostra azione missionaria con una immaginazione creativa, capace di testimoniare Colui che è Amore.
 

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